Domenica, 08 Settembre 2024

Tajani in Cina

“Parlerò con il ministro degli Esteri Wang Yi, affinché cerchi di convincere (il presidente russo Vladimir) Putin a fare qualche passo indietro sull’Ucraina”, in modo che si possa aprire una prospettiva di pace. Lo ha detto questa mattina il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, durante la visita alla “Città proibita”, l’area di Pechino che, in epoca imperiale, era vietata ai semplici cittadini. Il cammino verso la pace “è difficile, la guerra non finirà in poche settimane, ma non bisogna mai, mai, mai rinunciare alla via diplomatica”, ha affermato il ministro, impegnato da ieri in una missione ufficiale in Cina.
 
A proposito dei rapporti economici tra Cina e Italia, Tajani non ha mancato di sottolineare che le aziende italiane del lusso hanno un grande mercato nel Paese asiatico, e rafforzare ulteriormente la cooperazione commerciale è fondamentale per sostenere le esportazioni di prodotti italiani di alta gamma verso la prima potenza asiatica. Il ha sottolineato che il sostegno all’export italiano non passa esclusivamente dall’adesione dell’Italia alla Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri). “Mentre valutiamo se rinnovare il memorandum sulla Bri, cerchiamo anche di rafforzare la cooperazione commerciale”, ha affermato il ministro.
 
L’Italia deve compiere un ulteriore sforzo per tutelare l’autenticità dei suoi prodotti ed eccellenze sul mercato cinese, ha aggiunto il ministro. “Anche qui in Cina ci sono prodotti che sembrano italiani ma non lo sono. Noi abbiamo il dovere di sostituire il finto italiano con il vero prodotto italiano, che possiamo produrre in Italia ed esportare, ma che possiamo anche produrre all’estero assieme ad imprese straniere”, ha detto oggi il ministro durante la visita alla “Città proibita”, l’area di Pechino che, in epoca imperiale, era vietata ai semplici cittadini.
 

Tajani, al termine della santa messa alla Cattedrale del Salvatore di Pechino, prima tappa della missione ufficiale intrapresa ieri dal ministro in Cina, ha affermato che l’Italia è decisa a intensificare ulteriormente le relazioni con la Cina, per contribuire al rafforzamento degli scambi commerciali tra i due Paesi e al dialogo su grandi questioni di interesse globale, come la crisi un Ucraina. “Vogliamo rafforzare le relazioni con un grande Paese come la Cina. Abbiamo visioni diverse, ma parlarsi è importante anche per trovare un percorso che possa condurre alla pace in Ucraina”, ha spiegato Tajani, auspicando che “il governo cinese possa influire su Putin” per convincere la Russia a un passo indietro. Il ministro, che durante la funzione ha fatto la comunione, per poi intrattenersi con un gruppo di fedeli argentini, ha commentato lo stato delle relazioni tra Italia e Cina: “Abbiamo un partenariato strategico che va sostenuto”, anche per rafforzare la presenza di “decine e decine di nostri imprenditori che sono qui” e favorire la crescita delle esportazioni verso la prima economia asiatica.

 

Il ministro non ha mancato di commentare il delicato tema del memorandum sulla Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri) firmato dall’Italia nel marzo 2019: “Non abbiamo ottenuto grandi risultati con la via della seta ma poco importa: siamo intenzionati a rafforzare le relazioni commerciali”, ha detto il ministro, ricordando che “l’export è una parte importante della nostra economia, ne rappresenta quasi il 40 per cento. Stiamo organizzando con l’Ice un grande evento per valorizzare le nostre esportazioni”. La priorità, oggi, è mostrate ai cittadini che “c’è un governo che lavora, che si occupa dell’economia”, ha detto il ministro, che ha anche evidenziato la particolare importanza degli scambi commerciali in un contesto di difficoltà economica della Germania. Quanto alla decisione se rinnovare o meno il memorandum che lega l’Italia all’iniziativa della Bri, Tajani ha spiegato che a decidere “sarà il parlamento, ma quale che sia la decisione, non influirà sul partenariato” bilaterale: “Credo che il memorandum sia solo una parte delle nostre relazioni (…). C’è un partenariato strategico dal 2004, fatto all’epoca da (Silvio) Berlusconi. Dobbiamo rafforzarlo, vogliamo più turisti cinesi in Italia, vogliamo che si studi di più l’italiano in Cina”.

 

Il ministro ha evidenziato infine l’influenza significativa di Pechino in Africa, e l’importanza di dialogare con la prima potenza asiatica per far fronte a sfide come quella dell’immigrazione. A questo proposito, il ministro ha ricordato le parole di papa Benedetto XVI sul diritto a migrare: “Noi dobbiamo combattere i trafficanti di esseri umani, i trafficanti di droga, i trafficanti di armi”, far sì che la situazione si stabilizzi. I colpi di Stato, ha avvertito Tajani, contribuiscono all’instabilità di una regione strategica dove la Cina ha una presenza importante, come in Niger. “Parleremo anche di questo”, ha assicurato il ministro riferendosi ai colloqui in programma a Pechino nei prossimo giorni.

 

Il memorandum sulla Nuova via della Seta

La visita a Pechino giunge in un momento particolarmente delicato nelle relazioni tra Italia e Cina. Insieme all’omologo Wang Yi, succeduto lo scorso luglio a Qin Gang (del quale non si hanno da allora notizie), il titolare della Farnesina parteciperà all’undicesima riunione congiunta del comitato governativo, piattaforma di coordinamento per l’intero spettro della cooperazione bilaterale. Soprattutto, Tajani dovrà gettare le basi per la futura visita a Pechino del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione della quale Roma potrebbe comunicare ufficialmente la decisione di non rinnovare il memorandum sulla Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri) sottoscritto nel marzo del 2019, quando alla guida del governo in Italia c’era Giuseppe Conte. La maxi-iniziativa infrastrutturale del presidente Xi Jinping, che compirà proprio questo mese dieci anni di età, non gode di grande salute: negli ultimi anni la Cina ha fatto fatica a trovare nuovi partner, con molti governi intimoriti dal rischio di finire nella cosiddetta “trappola del debito”, e miliardi di dollari di progetti sono stati cancellati in Paesi chiave come l’Australia, la Malesia, il Kazakhstan, la Bolivia. L’Italia è l’unico Stato membro del G7 ad aver aderito all’iniziativa e una sua uscita dal blocco è un segnale politico inquietante per Xi, che considera la Nuova via della seta un tassello fondamentale della propria strategia di espansione dell’influenza internazionale della Cina.

I vertici del Partito comunista cinese, comunque, non sembrano aver rinunciato alla possibilità di convincere l’Italia a ripensarci. La visita di Tajani è stata preceduta da una serie di editoriali del “Global Times”, organo di stampa del partito in lingua inglese, tesi a evidenziare come per Roma uscire dalla Nuova via della seta sarebbe un errore. “Da un punto di vista pragmatico, aderire al memorandum è stato di indubbio beneficio per gli interessi nazionali dell’Italia. Le cose si complicano a causa della geopolitica, della pressione e della coercizione degli Stati Uniti. Noi – si legge in un articolo del primo agosto scorso – speriamo che l’Italia assuma una decisione razionale, senza interferenze esterne. È tempo di testare la saggezza politica e l’autonomia diplomatica dell’Italia”. Il primo settembre, nel commentare l’imminente arrivo di Tajani, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha parlato della visita come di “un’opportunità per consolidare la fiducia politica reciproca, approfondire la cooperazione e il coordinamento multilaterale, e rispondere insieme alle problematiche globali”. “Negli ultimi anni – ha osservato Wang – la cooperazione e gli scambi tra i due Paesi hanno continuato ad approfondirsi e le relazioni bilaterali hanno mostrato uno slancio positivo verso lo sviluppo”.

L’impressione, tuttavia, è che l’Italia non sia altrettanto soddisfatta dal corso delle relazioni bilaterali e ritenga che i benefici economici derivanti dalla firma del memorandum siano stati di gran lunga inferiori alle attese. Meloni stessa lo ha spiegato in un’intervista rilasciata questa settimana a “Il Sole 24 Ore”. “Al di là dell’accordo sulla Via della seta, su cui le scelte andranno meditate e discusse in Parlamento, non c’è una relazione diretta tra quella firma e le relazioni commerciali. Il paradosso è che siamo l’unico Paese del G7 ad aver aderito alla Via della seta, ma non siamo affatto il Paese del G7 o il Paese europeo col maggior interscambio con la Cina. Il che dimostra come non ci sia un nesso tra le due cose. Ne parleremo con serenità ed amicizia con il governo cinese e sono convinta che i nostri rapporti continueranno ad essere solidi”. Secondo i dati dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice), in effetti, dal 2019 (anno della firma dell’accordo sulla Nuova via della seta) al 2022 le importazioni della Cina dal nostro Paese sono aumentate solo del 26 per cento, contro una crescita di ben 51 punti percentuali delle esportazioni cinesi in Italia.

Una lieve correzione della bilancia commerciale è stata registrata nella prima metà di quest’anno, ma è legata molto più al crollo di circa il 15 per cento dell’export cinese verso l’Italia che non alla crescita delle importazioni di nostri prodotti (+0,7 per cento). L’interscambio commerciale ha raggiunto nel 2022 la cifra record di 77,8 miliardi di dollari, con 50,8 miliardi di dollari di merci cinesi esportate in Italia e 26,9 miliardi di dollari di prodotti italiani approdati in Cina, ma nei primi sette mesi del 2023 appariva in calo di quasi dieci punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Per fare un raffronto, sempre lo scorso anno Pechino ha importato beni dalla Germania per 107 miliardi di euro (l’interscambio commerciale sino-tedesco è stato pari a 320 miliardi di dollari) e dalla Francia per 26,1 miliardi di dollari (con interscambio sopra i 100 miliardi di dollari).

I dati riflettono anche le difficoltà economiche attraversate dalla Cina. L’export, forza motrice dell’imponente crescita economica del gigante asiatico negli ultimi decenni, è calato del 3,9 per cento tra gennaio e luglio di quest’anno, l’attività manifatturiera è in contrazione da cinque mesi consecutivi, la crisi del settore immobiliare non accenna a chiudersi (la prima società del comparto, Country Garden, ha registrato perdite per 6,7 miliardi di dollari nella prima metà dell’anno e sembra seguire Evergrande sulla strada del default) e rischia di trascinare a fondo anche il sistema finanziario. Inquietante è anche la decisione dei vertici del Partito comunista di smettere di pubblicare i dati mensili sulla disoccupazione giovanile, che a luglio aveva toccato il record storico del 21,3 per cento. Uno scenario a tinte fosche, che potrebbe contribuire a spingere l’Italia lontano dalla Nuova via della seta assieme a considerazioni di carattere geopolitico.

Il quadro globale odierno è molto diverso da quello del 2019, quando il governo Conte invitò Xi in Italia e firmò il memorandum. La pandemia di Covid-19 prima e la guerra in Ucraina poi hanno irrigidito i blocchi delle alleanze che fanno capo, rispettivamente, agli Stati Uniti e alla Cina. È in corso anche una ridefinizione su scala mondiale delle catene industriali di produzione e distribuzione, ed è più forte nel campo occidentale l’attenzione alla protezione di tecnologie e dati sensibili dagli investimenti cinesi. È in questo quadro che lo scorso giugno il governo Meloni ha esercitato i poteri speciali del “golden power” per il colosso degli pneumatici Pirelli, limitando l’influenza sul consiglio di amministrazione del socio cinese China National Tire & Rubber Corporation. L’Italia ha anche mostrato più interesse rispetto al passato per la questione di Taiwan, con lo stesso Tajani che ha ribadito in più circostanze l’opposizione di Roma a ogni alterazione dello status quo nello Stretto, e per l’Indo-Pacifico in generale, con la nave Francesco Morosini della Marina militare inviata per cinque mesi in missione nella regione per attività di “diplomazia navale”. L’impegno italiano al fianco degli Usa e dei loro alleati, rinnovato da Meloni con la visita a Washington del luglio scorso, sembra indicare che il governo italiano ha già preso una decisione sulla Nuova via della seta. L’obiettivo dei futuri colloqui con Pechino, a partire da quelli di Tajani nei prossimi giorni, sarà forse quello di assicurare un ritiro morbido dal memorandum e di evitare una rottura con serie ripercussioni sulle relazioni economiche con la Cina.

Le tappe della visita

Come riferito da una nota della Farnesina, la prima parte della visita iniziata ieri ieri dedicata a numerosi impegni culturali, a testimonianza dell’estrema rilevanza di questa dimensione nel rapporto bilaterale con Pechino. Seguiranno oggi importanti incontri istituzionali. Il vicepremier co-presiederà insieme al suo omologo, Wang Yi, la XI sessione plenaria del Comitato intergovernativo Italia-Cina, la prima a tenersi dal 2020. A questo impegno si aggiungeranno incontri bilaterali con il ministro degli Esteri Wang Yi e il ministro del Commercio Wang Wentao.

Il 5 settembre, da Pechino, il vicepremier raggiungerà Astana, dove incontrerà il Presidente della Repubblica del Kazakistan Toqaev e il suo omologo Nurtleu. “L’Italia guarda con crescente interesse all’Asia centrale, anche in ragione delle conseguenze della guerra in Ucraina”, ha osservato Tajani, secondo il quale “è per noi prioritario stabilire un partenariato strategico con quei Paesi e sfruttare le importanti opportunità che il Kazakistan offre alle nostre imprese”. In occasione della tappa ad Astana, il vicepremier inaugurerà la nuova sede dell’ambasciata d’Italia.

fonte novanews

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